Come il cibo si è mangiato la città
Domenica 2 ottobre, sono circa le dieci di sera e Pietro sta guardando il posticipo su SKY, che quassù prende benissimo. Suonano alla sua Porta, sebbene Seba ci abbia messo parecchio a trovare il citofono. L’incidente è stato più grave del previsto, e il suo stato confusionale non gli ha permesso di capire che stava suonando proprio a quella porta, quella riservata a chi si è comportato bene in vita:
“Sono Glovo, ho una consegna può scendere?”
“Figliuolo, sei tu che devi salire, piano Altissimo.”
Ecco, il solito culopesante che non ha voglia di fare quattro passi e io devo perdere tempo, pensa mentre si arrampica su per le scale. Alle porte della nuvoletta sospesa nel cielo arriva un uomo vestito in maniera eccentrica ad aprirgli:
“Due rockburger, patatine fritte con mayo di soia e una coca zero, buon appetito.”
“Sebastian Galassi, 26 anni, ho una brutta notizia per te: io non sono il cliente che ha usato Glovo per non uscire a comprarsi la cena sotto la pioggia, e comunque avrei almeno ordinato una birra al posto di quella bevanda del demonio. Io sono San Pietro, purtroppo il tuo percorso finisce qui.”
Paolo e Giovanni lo dicono da tempo a Pietro che si è troppo immedesimato in un giudice di X FACTOR ma lui non riesce a resistere, sarà la troppa televisione che guarda ultimamente: Seba entra sempre più spaesato, ripensa all’indirizzo di quest’ultima consegna ma i ricordi sono annebbiati. Solo ora emerge dal fondo della sua mente l’immagine di un incrocio del centro di Firenze, luci di semafori che diventano rossi troppo in fretta, di vie da attraversare in velocità cercando di non saltare quella giusta. Sebastian si stropiccia gli occhi e vede una Land Rover sempre più vicino alla sua Honda, sente la vocina che gli dice di non frenare perché non può consegnare la carne tiepida, ora Sebastian strizza gli occhi infastidito dagli abbaglianti del SUV che colpisce, in maniera letale, il suo scooter.
Sebastian si siede sul divano dove Pietro si stava appisolando guardando Juventus-Bologna, e scoppia a piangere: “il mio sogno era quello di diventare un grafico web. Avevo quasi finito, mi ero ripromesso di chiudere in un anno e smettere di fare consegne, ma ti sembra facile? Io ci ho pagato l’Università portandovi la cena, dopo tanti anni ero anche abituato a schivare le macchine e prendere i contromano in scioltezza…Sai Pietro, noi siamo pagati a cottimo, senza un contratto che ci tuteli, e quindi siamo spinti a correre. Tu non immagini la pressione che ci fanno per una recensione negativa se tardi tre minuti nel portarti i tacos bollenti sulla porta di casa.”
Mi spiace Seba, ora l’iter è questo: mentre io farò una rapida valutazione dei tuoi ventisei anni di vita, tu comincia a lasciare lì i tuoi oggetti personali, la bici, e ovviamente il cellulare.
Aspetta Pietro, un’ultima mail, mi ha scritto Glovo:
Gentile Sebastian,
Glovo intende offrire un’esperienza ottimale ai propri corrieri, partner e clienti. Per mantenere una piattaforma sana ed equa, talvolta è necessario prendere dei provvedimenti quando uno di questi utenti non si comporta in modo corretto.
Visto, erano in pensiero per me e mi hanno scritto.
La mail prosegue:
Siamo spiacenti di doverti informare che il tuo account è stato disattivato per il mancato rispetto dei Termini e condizioni. (…)
Cordiali saluti,
Glovo
Ma cazzo, mi hanno licenziato. Pietro mi hanno licenziato perché non ho consegnato gli hamburger a causa dell’incidente. Ah nel box che ti ho consegnato, e che mi costò 40 euro, ci sono i due hamburger, mangiali tu se vuoi, io sono troppo incazzato.
“Guarda Seba, se ti consola ho appena visto che la piattaforma si è scusata con la tua famiglia per il messaggio, definendo l’invio un errore del sistema: ma l’errore non è il messaggio, l’errore è il sistema.”
“Non ti facevo così rivoluzionario leggendo le storie della Bibbia su di te, Pietro.”
Non lo ero infatti, ma secondo te a chi è toccato accogliere quassù Willy da Livorno? E Roman Emiliano Zapata a settembre? Per non parlare di Romulo, arrivato qui ancora con il box sulle spalle: tutti tuoi colleghi che hanno fatto la tua stessa fine, per paura di ricevere la tua stessa mail. Sai, una volta ordinavo anche io cibo a casa quando venivano qui Paolo, Francesco e Giovanni per provare con la nostra band, poi ho smesso. Uso ogni tanto Robin Food, una bella cooperativa di rider nata proprio nella tua Firenze. Ma sai, nessuno ha voglia di consegnare fin qua, troppo tragitto per poco guadagno.
A quel punto Seba lo interrompe e sbotta:
Ma di cosa stai parlando Pietro? Sembri quei giornalisti invecchiati male che scrivono che i giovani non hanno voglia di lavorare, che i lavoretti li abbiamo fatti tutti e anche loro facevano i fattorini da studenti. Ma voi sapete cosa significa correre avanti e indietro per 800 euro al mese? Vi rendete conto che io sono, anzi ero, iscritto a tre piattaforme diverse per poter studiare e avere una vita decente? Mentre voi vi guardate la partita sul divano, io ho smesso pure di interessarmene, tanto al calcio d’inizio io sono su una bici con lo zaino pieno di pizze. Chissà quanta ipocrisia e fiumi di inchiostro faranno scorrere sul mio incidente: lacrime di coccodrillo alternate ad affilate penne pronte a difendere l’economia delle piattaforme, a dire che comunque va tutto bene, magari definendo la mia morte un infortunio, pur gravissimo. Ecco, non va un cazzo bene invece: noi rischiamo la vita ogni giorno. Vorrei che si evitassero i gesti a effetto, magari facendo una legge fasulla intitolata a mio nome e degli altri rider caduti sul lavoro, e si facesse invece una cosa molto più semplice: un contratto, vero!, che permetta a tutti di lavorare tutelati e in sicurezza, senza dover correre ogni secondo per racimolare un contratto da fame.”