Amazon Fresh: Bezos sbarca nel mondo del food

30.11.2021

“Con Amazon Fresh la spesa è un sacco veloce”: questo il claim che è comparso in questi giorni sui bus torinesi per annunciare, col classico gioco di parole tipico del food, l’arrivo di questo servizio anche nella nostra città.

 

Il colosso entra a gamba tesa nel mondo della spesa a domicilio, con una grafica green accattivante, e con prezzi e tempi di consegna al solito molto vantaggiosi per gli abbonati.


Questa la novità: ora potrai finalmente acquistare frutta e verdura (nell’immagine pubblicitaria il massimo del fresco che si riesce a esprimere sono avocado e papaya che non sono proprio Km zero ma vabbè) direttamente dal divano di casa collegandoti alla piattaforma più conosciuta e vorace del pianeta: non solo zucchine e pomodori, ma qualsiasi prodotto edibile, dai salumi e formaggi all’insalata russa che fino a ieri hai comprato alla gastronomia all’angolo, proprio di fianco al macellaio che ora dovrà competere con i prezzi Amazon per sopravvivere.

 

Ma soprattutto vi saranno prodotti biologici, con “selezione arricchita anche da merci di start up italiane e artigiani locali che vendono prodotti come cioccolata di Modica e i pomodori secchi”, citando la comunicazione ufficiale: tanto è bastato per fare andare in brodo di giuggiole il Gambero Rosso, che nel febbraio 2021 pubblica un articolo-velina in concomitanza dell’approdo del servizio a Roma (preceduta da Milano un mese prima, e seguita al momento da Bologna e Bergamo oltre Torino).

 

Un entusiasmo “a reti unificate” che ci lascia basiti: sul web troverete infatti solo articoli fotocopia, probabilmente scopiazzati dal comunicato stampa Amazon, che descrivono il nuovo che avanza con una tale minuzia nel descrivere costi e modalità che ti sembra di ritrovarti nel bel mezzo di una telefonata promozionale da parte di un call center.

 

Di fronte a un servizio già presente negli Stati Uniti, a Berlino e Londra (solo per citarne alcune) come si fa a non esultare felici? Peccato che ormai conosciamo tutti il modello economico sottostante l’economia delle piattaforme, che ormai permea le nostre città e che muterà sempre più il contesto economico-sociale dei nostri quartieri.

 

Si diraderanno i negozi di vicinato, si intensificherà il traffico di furgoni e biciclette per la consegna della qualsiasi, e le periferie e la prima cintura si affolleranno di grandi magazzini di stoccaggio di pacchi e pacchettini, nelle stesse zone in cui saranno costretti a vivere i lavoratori sfruttati e sottopagati che consegnano in due minuti la spesa alla classe media e medio-alta.

 

E questa è solo una parte delle esternalità negative che il colosso di Bezos riversa sui territori locali: nella settimana del Black Friday, un reportage de L’Essenziale ha reso evidente, se mai ce ne fosse ancora bisogno, il lato oscuro del pacco consegnato comodamente a casa nostra “in sole 24 ore senza costi aggiuntivi”.
Le confessioni di magazzinieri e driver ricordano amaramente e perfettamente le immagini di “Sorry, we missed you” di Ken Loach, film capolavoro perfettamente aderente alla realtà: un pacco da consegnare ogni due minuti, ritmi di lavoro devastanti per la mente e per il fisico, casi di malattie, ansia e stati di stress diffusi come se essi fossero il new normal.

 

Il tutto in un contesto di contratti precari forniti da società e cooperative appaltanti che “liberano” Amazon dalla responsabilità sulle condizioni di lavoro dei suoi (non) dipendenti: il prezzo della consegna non lo paghi tu perché lo pagano i lavoratori sfruttati.

 

Davvero vogliamo che questo modello economico arrivi a regolare ogni singolo momento della nostra vita quotidiana?


Abbiamo davvero bisogno che il nostro carrello della spesa si trasformi in un carrello virtuale?

 

Probabilmente no, ma il timore è che anche questo bisogno indotto si trasformerà rapidamente in un servizio che il cittadino-consumatore considererà sempre più essenziale.

Amazon Fresh
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