Torino 2019

20.12.2019

TURISMO Vs RICCHEZZA DISTRIBUITA

 

Quale miglior presente di fine anno avremmo potuto farvi se non una bella analisi dei dati statistici sul 2019 della città di Torino? Vorrete mica dirci che avreste preferito un paio di guanti?

 

Noi purtroppo siamo più noiosi della nonna che fa sempre lo stesso regalo a Natale, per cui approfittiamo dei bilanci delle feste per fare una analisi più approfondita (e concisa) possibile sullo stato di salute di Torino, vedendola dal punto di vista che è più consono ai nostri temi: la glorificazione del positivo andamento turistico, messo a confronto con i dati economici complessivi e con la distribuzione della ricchezza prodotta.

 

Gli strumenti da noi utilizzati sono l’ultra ventennale Rapporto Rota e l’indice di qualità della vita cittadina elaborato da Il Sole 24 Ore.

 

TORINO COME STA? 

 

L’incipit del Rota relativo all’economia locale non poteva essere più impietoso: la fuga di Mamma FIAT è ormai più che conclamata e confermata dai dati (rimangono ormai pochi illusi, o analisti in malafede, a credere a un aumento della produzione, e la fusione Peugeot-FCA non potrà che peggiorare le cose data la sovrapposizione di strutture produttive simili). Il polo produttivo torinese – che impiega oggi 6.300 lavoratori a Mirafiori e 1.100 alla Maserati di Grugliasco, contro i 14.000 circa di dieci anni fa – ha perso progressivamente peso anche nelle gerarchie italiane del gruppo Fiat: oggi è 5° (era 4° dieci anni fa) per numero di veicoli prodotti (-80% tra 2008 e 2018).

 

Come se non bastasse, l’intero comparto dell’ industria manifatturiera è in profonda crisi: le unità locali (ossia ogni luogo di produzione di beni e servizi) con almeno 250 addetti hanno segnato un calo del -12%. Questa è la ragione per cui, nel complesso, il numero di addetti occupati è diminuito complessivamente nell’area torinese tra il 2001 e il 2016, in controtendenza con quanto verificatosi nella maggior parte delle città metropolitane.

 

Tradotto dalla statistica all’italiano: fabbriche che chiudono, posti di lavoro che scompaiono, famiglie in crisi. Secondo i dati della FIOM sarebbero circa 4.000 i lavoratori che a Torino e provincia rischiano il licenziamento

Nel 2018 le imprese nella città metropolitana torinese sono diminuite dello 0,3% rispetto all’anno precedente, e se guardiamo all’andamento complessivo del nuovo millennio i numeri sono drammatici: -24,5% delle iscrizioni di nuove imprese, con Torino che scivola agli ultimi posti nelle classifiche economico-produttive tra le grandi città del Centro-Nord.

Non dovrebbe stupirci questo dato se guardiamo all’ influenza che la crisi globale ha avuto sull’andamento dell’export: se infatti, nel decennio 1998-08 era cresciuto del +28%, in quello successivo la variazione è stata solo del +3%.

Inutile provare a consolarci andando oltre la “Torino città grigia” delle fabbriche: Torino è al 12° posto tra le città metropolitane per rilievo occupazionale del settore edile, 14° nel commercio , ed è fanalino di coda nei settori più al centro dell’attenzione mediatica, ovvero trasporti e alberghiero ristorativo.

 

 

ALBERGHI PIENI: CITTA’ IN SALUTE?

 

E qui casca l’asino: la Torino città always on the move è la PEGGIORE città metropolitana d’Italia per percentuale di addetti impiegati da alberghi e ristoranti per soddisfare le esigenze e le richieste dei milioni di turisti che a colpi di record di frequenze a ogni weekend affollano la capitale sabauda.

 

Almeno, questo è quel che risulta dagli strilli dei mass media locali, o seguendo la pagina Facebook della Sindaca di Torino Chiara Appendino, sempre più affetta da “annuncite cronica”. Torino riparte con tanto di missile ma non si capisce diretta dove grazie a un “settore strategico che porta risorse, strutture e posti di lavoro”: quale capitano d’azienda, pubblica o privata, quale rettore universitario, quale allenatore professionista definirebbe “strategico” il settore, dipartimento o giocatore numericamente più debole? 

Ve lo immaginate l’allenatore di una qualsiasi squadra che dichiara: “Puntiamo a vincere il campionato grazie al giocatore XY, quello che finora ha segnato meno punti di tutti giocando poco e male.”

Non a caso Torino è diventata “area di crisi complessa”, che significa 150 milioni di denaro ministeriale per provare ad attrarre produzione industriale, e quindi sopperire ai drammatici dati sulla disoccupazione totale e su quella giovanile. Neanche in questo caso però lo storytelling urbano è riuscito a fare un passo indietro, e sulle pagine del blog grillino la Sindaca ha tenuto la barra dritta (anzi sempre storta uguale): 

 

Il turismo, che cresce e ogni giorno valorizza le nostre bellezze artistiche, storiche e culturali, è una componente fondamentale della nostra economia, ma da solo non può bastare a sopperire al vuoto lasciato dall’industria.” 

 

Ci dev’essere una qualche forma di perversione comunicativa nel volere a tutti i costi focalizzare il discorso di sviluppo urbano sul turismo: non lo scopriamo certo noi foodificatori oggi, e non è certo peculiarità torinese bensì tendenza globale ma continuiamo a fare fatica ad adattarci a questo slittamento tra realtà e numeri.

 

Ma proviamo ad andare oltre, e vediamo quali sono le condizioni di partenza (oddio, non proprio partenza dato che la new vision turistica sabauda ha ormai vent’anni di età) del nostro settore strategico per eccellenza: alla scarsa capacità di assorbimento di forza-lavoro di alberghi e ristoranti, si aggiungono le scarse prestazioni dell’Aeroporto di Caselle, che scivola sempre più in basso nelle classifiche internazionali (86° posto in Europa, dopo l’aeroporto di Norimberga, come numero di passeggeri, e riduzione drastica nel traffico merci del 77%).

 

Se la città non è più grigia, certamente resta poco ricettiva: il Sole 24 Ore ci dice che siamo sesti per offerta di mostre ed esposizioni, ma al 61° posto per densità di posti letto nelle strutture ricettive.

 

Una tale penuria di base che il Comune ha cercato di mettere una pezza facendosi “promotrice indiretta” della piattaforma tecnologica del finto-sharing per eccellenza. Airbnb venne direttamente proposta come soluzione ricettiva importante in termini numerici all’interno del dossier di candidatura per le Olimpiadi 2026 (degne di nota le frasi ad effetto sul cittadino torinese delle periferie che poteva sfruttare l’occasione olimpica per abituare se stesso e la propria casa all’accoglienza di turisti stranieri), fortunatamente naufragato.

 

Una tale penuria di strutture, progettualità e investimenti (-85% tra il 2005 3 il 2018), che rispetto alle altre metropoli italiane Torino mantiene un indice di turisticità decisamente basso, collocandosi all’11° posto (contro il 13° di vent’anni prima). Per queste evidenti ragioni, uno dei principali obiettivi più volte ribadito una ventina di anni fa – aumentare la durata media della permanenza dei turisti a Torino – è stato mancato, scendendo dai 3,2 giorni del 1999 ai 2,9 del 2018. Ugualmente fallito l’obiettivo di internazionalizzazione degli afflussi: la quota di turisti stranieri a Torino (24%) rimane ben più bassa della media nazionale (49% sul totale delle presenze in Italia).

 

Siamo una “città-wannabe”: sogniamo di essere quel che non diventeremo mai, e ne sono chiaramente i cittadini a subirne le conseguenze.

Torino è il mix di assenza di importanti effetti positivi e presenza di tutti i fattori negativi che possiate immaginare legati al turismo: le ricadute economiche sono negative e tendenzialmente concentrate sia spazialmente che in termini di cittadini che ne traggono beneficio.

 

Forse è proprio su questa distanza tra fiction e realtà che dovremmo riflettere: pur ammettendo e non concedendo di voler vivere in una ricca città turistificata (abbiamo pubblicato diversi approfondimenti), chiediamo ai nostri decisori pubblici se sanno qual è la condizione strutturale in cui si trovano ad agire, e qual è lo iato tra l’immaginato e le possibilità reali.

 

Le esternalità negative sono sotto gli occhi di tutti: centro città trasformato in un luna park per i “cittadini di Serie A” (Cit. Wolf Bukowski) ovvero gli stranieri in visita, interi quartieri o sezioni di essi destinati all’enogastronomia (potevamo non citare la Foodification?), una rincorsa continua dell’evento, specialmente se grande, a tutti i costi, in un gioco di rimbalzi di comunicazione e responsabilità tra politica, giornalisti, e corpi intermedi come Associazioni Commercianti e simili che non riescono a richiedere nulla più che una città a misura di turisti e decoro.

 

Usiamo una citazione dell’ amica Sara Gainsforth per provare a esprimerci in termini generali: 

 

In Europa, il turismo rappresenta di fatto la nuova “politica industriale”, la strategia di crescita privilegiata soprattutto dalle città del Sud. Il problema è che il turismo non produce nulla, perlopiù consuma. Si sente spesso dire che «il turismo è una risorsa», ma la risorsa non è il turismo, sono le città, i territori, il patrimonio culturale, le relazioni; il turismo è un modo di metterle a valore. Non c’è alcuna redistribuzione della ricchezza generata con il turismo, un’economia povera, non produttiva, di lavoro dequalificato. Il profitto va ai soggetti privati, la ricchezza è sempre più concentrata e le diseguaglianze aumentano.

Torniamo dal generale al particolare per gettare la luce sulla polarizzazione tra centro e periferia, utilizzando l’indice di Gini, che calcola la suddivisione della «torta» della ricchezza nei diversi contesti locali: più è elevato e più la ricchezza è concentrata in poche mani. I dati più recenti dell’Istat (relativi ai redditi 2016) confermano come Torino si piazzi al quinto posto della classifica per distribuzione diseguale, curiosamente alle spalle (e quindi messa meglio) delle metropoli globali rivolte al turismo che vorrebbero indicarci come modello da seguire.

 

In termini di disoccupazione, la situazione per Torino risulta ancora più critica: la città metropolitana registrava all’inizio del XXI secolo – e continua a registrare – il peggiore tasso di disoccupazione del Centronord, avendo ormai quasi raggiunto, insieme a Genova, i livelli di Roma.

La maggiore criticità emersa nel nuovo secolo riguarda la disoccupazione dei giovani, esplosa in particolare nel periodo dal 2008 al 2014 con una gravità superiore rispetto alle altre metropoli settentrionali.

In questo caso è la ricerca sulla qualità della vita a darmi la drammaticità della situazione sabauda: 55° per tasso di disoccupazione, 57° tra i Comuni italiani per tasso di disoccupazione giovanile (22,6% sulla popolazione di 15-29 anni), e 57° per imprenditoria giovanile con saldo zero di nascita di imprese Under35: non esattamente un quadro economico di una città in salute.

 

E come lo paghi l’affitto se non hai un lavoro? Inutile aggiungere quindi che Torino è ormai quasi storicamente Capitale degli Sfratti, record che detiene a partire dal 2012: dopo una lieve flessione, siamo nuovamente esplosi a quattro mila circa nel solo 2018 (qui il link a un bell’ approfondimento degli amici di Napoli Monitor.

 

Stessa polarizzazione la troviamo nell’ambito dell’istruzione:  quote molto alte di abbandono scolastico si continuano a registrare soprattutto nei quartieri nord (Vallette, Lucento, Falchera, Barriera di Milano, Borgo Vittoria, Parco Dora, Aurora), oltre che negli isolati popolari di via Arquata, tra i corsi Dante e Turati.

Curiosamente, guardando verso la punta della piramide della formazione scolastica, scopriamo che cresce la quota di laureati degli atenei torinesi, ma resta bassa la “diffusione” di torinesi laureati: non è che stiamo investendo anche qui per gli “immigrati di serie A” e non per i residenti?

 

Di fronte a questo deserto socio-economico, cosa possiamo aspettarci se non un forte e deciso sostegno delle politiche sociali della città? Ci spiace deludervi ma il welfare pubblico ha subìto un calo del 30% circa negli ultimi 20 anni( la risposta è nell’ultima tabella di questo reportage, decidete voi se farvi l’auto-spoiler), portandoci in fondo alle classifiche parziali di qualità della vita cittadina: sessantaquattresimi per spesa sociale per minori, disabili e anziani. Ricordate la città divisa in due della campagna elettorale a Sindaco del 2016?

Ecco, nulla è cambiato, se non in peggio.

 

Guarda caso, è proprio nelle periferie che si registrano le maggiori percentuali di famiglie assistite economicamente: le maggiori concentrazioni si registrano in via Ghedini (nel quartiere Regio Parco), seguita da Aurora e Falchera.

 

TURISMO VS. RICCHEZZA DISTRIBUITA: LE NOSTRE CONCLUSIONI

 

Quali sono i motivi per cui le città tendono maggiormente (per usare un eufemismo) verso la visione ben sintetizzata dalla Cit. precedente di Gainsforth invece di propendere verso una ricucitura tra centro e periferie della città (che è poi quel che Appendino ha sostenuto fino al giorno in cui è stata eletta) ? 

 

Il principale per la nostra città è l’ultimo grafico del Rapporto Rota 2019, che chiude magistralmente la singolar tenzone con il pubblico che applaude disperatamente la scena finale, ove il co-protagonista Debito trafigge al cuore il Signor Turismo, del quale la protagonista Torino era follemente innamorata. 

 

Abbiamo vissuto per anni sulla retorica della Torino Capitale della Cultura, dell’Arte Contemporanea, di Vecchie e Nuove Olimpiadi e di qualsiasi Grande Evento che potesse fungere da arma di distrazione di massa: a quasi quindici anni di distanza dalle Olimpiadi invernali di Torino 2006, e di differenti (ma solo apparentemente) Sindaci e Giunte a Piazza Palazzo di Città, possiamo tranquilla asserire che Torino può realmente vantarsi di un solo, triste, primato. 

 

Torino è la Città Capitale del debito, incontestabilmente e drammaticamente: forse è questo il record da cui dovremmo partire quando analizziamo i dati statistici annuali.

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